L’assedio di Peschiera (18-30 maggio 1848)
Lo sgombero di Vicenza da parte delle forze austriache, elevò il morale delle popolazioni venete, piuttosto depresso per il lento proseguimento della guerra in loro favore. Motivo di gioia e speranza, erano pure costituiti dall'accanita resistenza in Cadore delle bande armate di volontari di Luigi Colletti e di Pier Fortunato Calvi, che si opponevano all'avanzata del Welden che scendeva con un corpo di circa 16.000 uomini verso Trento. Resistevano con successo inoltre, anche le guarnigioni di Palmanova ed Osoppo.
Altro entusiasmo, provocava l’immobilità della flotta austriaca dell’Ammiraglio Kudriafsky, che restare chiusa e protetta nel porto di Trieste, dal momento che le flotte Sarda e Napoletana riunite a Pirano, avevano posto il blocco, sorvegliandola a dovere.
E’ in questo frangente intanto, che giungono finalmente le grosse artiglierie d'assedio Piemontesi, e Carlo Alberto, affidava la direzione di tutte le truppe che assediavano Peschiera a SAR il Principe Ferdinando di Savoia Duca di Genova, che assistito dai generali Chiodo, comandante il Genio, Rossi, comandante l'artiglieria, e Federici al comando della divisione, poneva l’assedio il 13, aprendo il fuoco il giorno 18 maggio.
Il tiro delle batterie fu subito condotto con tale perizia, precisione e costanza, che il giorno 21, oltre a saltare un magazzino delle polveri, vedeva smontati e rovinati tutti i cannoni del forte Mandella.
Già la sera del 22 fu aperta dai piemontesi in questo settore una trincea a seicento metri dalla piazzaforte, dalla quale, si poteva programmare un assalto senza rischiare più il tiro delle artiglierie nemiche. Il 26, il Duca di Genova fece una onorevole proposta di capitolazione all’anziano Generale Rath, che chiese ventiquattro ore di tempo per decidersi.
Era chiaramente una perdita di tempo, perché in qualche modo questo Ufficiale aveva avuto notizia che una spedizioni di rifornimenti e rinforzi di quasi 6000 uomini era stata organizzata dal Feldmaresciallo Radetzky, e che sarebbero stati presto raggiunti. Cosicché al termine delle ventiquattro ore rispose con il rifiuto di arrendersi, continuando ad oltranza la resistenza, sperando nei soccorsi del Radetzky provenienti da Rivoli. Il cannoneggiamento degli assedianti sabaudi riprese quindi con forza !
Il giorno 29, mentre infuriava la battaglia a Curtatone e Montanara, da Rivoli, una colonna di Austriaci tento davvero di far giungere un importante convoglio di rifornimenti alla fortezza di Peschiera, con munizioni e viveri, ma non riuscirono ad oltrepassare Colmasino perché anche in quella località, i volontari “italiani” che difendevano quella posizione resistettero fin quando, giunto in soccorso il Generale Bes, con forze regolari piemontesi, gli austriaci furono costretti a desistere, e furono respinti oltre Cavaglione.
In conseguenza di questa rotta dei soccorsi, la ormai debolissima guarnigione austriaca di Peschiera, mancante di viveri da più giorni, si arrese il giorno 30, proprio durante lo svolgimento della battaglia di Goito.
Il presidio fatto prigioniero, contava circa millesettecento uomini, e furono rinvenute ancora centocinquanta bocche da fuoco ed una gran quantità di polvere e di proiettili utilizzabili.
Carlo Alberto ebbe la notizia della resa di Peschiera, proprio mentre Radetzky si ritirava sconfitto a Goito. Ciò gli fece accennare sulle labbra – lui che non faceva mai trasparire un’emozione in viso – un lieve sorriso. "I Toscani sono vendicati", disse, riferendosi all’eroico sacrifici di Curtatone e Montanara.
Per il campo di battaglia, dalle fila dell'Armata vittoriosa intanto si gridava entusiasticamente: Viva il Re d'Italia !
Rivolgendosi a Luigi Carlo Farini che gli stava accanto, Carlo Alberto con preveggenza trovò il realismo di rispondere : "No, qualunque cosa io faccia, gli Italiani a me non crederanno mai; se ci sarà un Re d'Italia, quello sarà mio figlio Vittorio Emanuele".
Percorso quindi, percorso il campo di battaglia e confortati i feriti, fece ritorno a Valeggio dov'era il suo quartiere generale. Il giorno dopo, 1° giugno, si recava a Peschiera, e con i soldati entrò nella cattedrale per ringraziare Dio con una messa per la vittoria.
Radetzky, con ciò che gli restava della sua Armata, era per i campi tra Goito e Mantova si medicava le ferite, contava i soldati, e i cannoni. Era piuttosto preoccupato, i piemontesi erano quasi sull'uscio di casa !