Giuseppe Garibaldi al battesimo del fuoco – Agosto 1848

Giuseppe Garibaldi al battesimo del fuoco – Agosto 1848
Combattimenti di Luino e Morazzone

Garibaldi, incaricato dal Governo provvisorio della Lombardia, fu mandato il 1° di agosto con i suoi volontari, a dar man forte sull’Adda, all’Armata di Carlo Alberto. Per la precisione fu inviato a Bergamo con l'ordine di sorvegliare il corso superiore dell'Adda, da Lecco a Cassano, e poi eventualmente collegarsi con la destra all'esercito sardo. La missione però non andò a bun fine, in quanto il Generale Aix di Sommaria già in loco che aveva per consgna di contrastare ogni tentativo nemico di passare il fiume, abbandonava senza motivo le posizioni ripiegando verso Piacenza, compromettendo di fatto l’intero schieramento.


Così la sera del  3 agosto ricevette dal Comitato di difesa, l'ordine concitato di rientrare a Milano, perché il nemico era alle porte.
Garibaldi ai suoi volontari rivolse nell’occasione un breve proclama di incitamento :

"Legionari, il cannone tuona; il punto in cui siamo è pericoloso, siamo nella posizione di esser tagliati fuori, mentre il giorno di domani ci promette un campo di battaglia degno di voi. Dunque vi chiedo ancora una notte di sacrificio; proseguiamo la marcia. Viva l'indipendenza italiana!".

Purtroppo la battaglia davanti a Milano del giorno 4, volse velocemente a termine prima che Garibaldi potesse parteciparvi, che giunto a Monza, ebbe notizia della capitolazione. Anziché proseguire per Milano quindi, piegò su Como per non subire le sorti dei vinti, deciso a guerreggiare con i suoi uomini.
A Como, Giuseppe Mazzini, che si era arruolato nella Legione di Garibaldi, lo abbandonò e passò a Lugano. Dalla città Svizzera e senza correre rischi, con Maestri e Restelli (l’Avvocato che in Milano solo il giorno avanti, aveva criticato la resa di Carlo Alberto, e che a parole era pronto a combattere all’ultimo uomo) sperava di organizzare la rivolta generale della penisola (una delle tante fallite a spese della povera gente).
Con essi molti altri abbandonarono Garibaldi e si allontanarono, ma egli non si scoraggiò, cercando di fare nuovi proseliti durante la marcia o attirando a sé gli altri corpi di volontari della Lombardia ormai sbandati, quelli del Generale Durando, di Manara, Griffini e D’Apice, scrivendo loro:

"La guerra italiana contro l'Austria continua finché vi sono uomini che sanno e vogliono fare. Io sono sempre deciso a fare il mio dovere. Spero che voi dividerete gli stessi sentimenti e vi esorto quindi ad avvicinarvi alle mie le vostre forze. L'Italia farà questa volta veramente da sé".

Nessuno rispose al suo appello.
Giacomo Durando, che stava tra Gavardo e Vestorse, si ritirava verso Brescia per unirsi alle forze di Griffini, ma questi risalita la valle dell'Oglio e passato nella Valtellina, passava il confine svizzero. Durando allora, ordinato ai trecento finanzieri che presidiavano Rocca d'Anfo di consegnare il castello agli Austriaci (come prescritto dall’armistizio Salasco), si dirigeva su Adro per poi superare Bergamo e da qui raggiungere il Piemonte. I volontari del D'Apice, che stavano in difesa dello Stelvio, alla notizia dell'armistizio, ritenendo inutile e vana ogni altra azione, si sbandarono.

Garibaldi, rimasto con meno di millecinquecento uomini, a S. Fermo vicino Varese, il 7 agosto, s'incamminò verso il capoluogo, superato il quale attraversò il Ticino a Sesto Calende, entrando il 10 agosto a Castelletto.
Qui venuto a sapere dell'armistizio Salasco, si sdegnò e lanciò un violentissimo proclama agli Italiani, in cui dichiarava di non potersi conformare alle umilianti convenzioni ratificate "con il nemico d'Italia, il Re di Sardegna", al quale, più tardi faceva sapere che " lui e i suoi compagni non potevano consentire alla pace con il nemico della patria e che erano disposti a continuare la guerra contro il nemico comune in Lombardia e dovunque fosse più necessario".

Così il 14 agosto, rifornitosi del necessario, Garibaldi lasciò Castelletto; ad Arona, dove giunse quel giorno stesso, requisì varie barche e due vapori, il "San Carlo" e il "Verbano". Incarcatosi con i volontari, passò a Luino. Verso la sera del giorno dopo, mentre la Legione, divisa in tre colonne si dirigeva verso la val Travaglia, Garibaldi seppe che tre compagnie austriache, costeggiando il lago, marciavano verso di lui. Deciso di attaccare il nemico, ordinando ad uno degli scaglioni di occupare l'osteria della Beccaccia, ma gli Austriaci avevano anticipato i legionari che dovettero scacciarli con un assalto alla baionetta. Gli Austriaci, messi rapidamente in fuga, lasciarono sul terreno due morti, quattordici feriti e ventitré prigionieri. Se Garibaldi avesse avuto al seguito un gruppo di cavalleria per inseguire il nemico però, le perdite austriache sarebbero state ben più gravi.

A questo punto, contro i legionari di Garibaldi che il 18 agosto occupavano Varese, Radetzky spedì un intero Corpo d’Armata,  il II al comando di D’Aspre, che poteva contare inoltre sull’appoggio dalle Brigate Maurer e Strassoldo, che si trovavano rispettivamente a Gallarate e Tradate.
Gli Austriaci all’inseguimento di Garibaldi erano a questo punto oltre sedicimila uomini con trentasei pezzi d'artiglieria al seguito.

Informato dell'avvicinarsi di tante forze, il giorno 20 agosto Giuseppe Garibaldi si trasferì sulle alture d'Induno, distaccando la compagnia Medici a Viggiù, ma questa, ricevuti contrordini, la sera del 22 ridotta ormai per le diserzioni a soli centodieci uomini, si portò a Ligurno. Il giorno dopo comunque, tra questa località e Rodero, seppe tener testa per tre ore ad una parte della Brigata Schwartzenberg. Quando, ormai minacciato al fianco e alle spalle, Medici, con i suoi superstiti, che si erano battuti come leoni, dopo un'ultima resistenza sul Monte S. Maffeo, passarono il confine svizzero.

Deciso a farla finita con i volontari, D'Aspre, spiegando opportunamente tutte le sue forze, tentò inizialmente di chiuderli tra il Lago Maggiore, il confine svizzero e il Lago di Como, e poi fra i laghi di Varese, di Monate e di Comabbio. Tutte e due le volte però, Garibaldi sfuggì alla stretta, la prima volta manovrando abilmente per la Valganna e la Val Cuvia intorno al massiccio di Campo di Fiori, la seconda gettandosi per la strada Tornate-Morvago-Caidate, su Morazzone, dove giunse alle 17 del giorno 26 con ancora ottocento uomini circa.
Circondati ormai da tutte le parti, i legionari delll’Eroe, la sera del 26 furono attaccati di sorpresa da parte della Brigata Simbschen, ma dopo una mischia furibonda, la respinsero alla baionetta dall'abitato dove era attestata. Assalito nuovamente dal lato opposto da truppe comandate dallo stesso D’Aspre, Garibaldi, riuscì a resistere fino al calare dell’oscurità, costringendo il nemico a rimandare al giorno dopo l'attacco decisivo.

Ma Garibaldi non attese il giorno dopo. Durante la notte alla testa dei volontari, sgusciò inosservato da Morazzone, dirigendosi verso il lago di Varese. Purtroppo, nel buio della notte, la colonna non riuscì a restare compatta. Fattosi giorno, Garibaldi si ritrovò intorno, solo con una settantina di volontari e proseguì verso il confine svizzero attraversandolo la notte del 27 agosto. Più tardi venne raggiunto alla spicciolata da altri legionari sbandati ed isolati.