Papa Pio IX messo alle strette


Papa Pio IX messo alle strette
Dimissioni del Ministero e Proclama del 1° maggio 1848

A rendere ancora più difficile la situazione del Pontefice giunse una protesta con la quale i Ministri Recchi, Simonetti, Aldobrandini, Minghetti, Pisolini e Galletti accompagnarono la sera stessa del 29 aprile, le proprie dimissioni:

“Beatissimo Padre, la S. V. ha parlato ai suoi cardinali come Pontefice. La S. V. ha però ancora dei ministri, i quali si sono dichiarati responsabili davanti al paese. Dopo la Sua allocuzione, questi hanno subito depositato nelle mani del presidente del Consiglio le loro dimissioni perché la umilii al trono di Vostra Beatitudine. Però, se in questo terribile frangente si volesse cercare un mezzo per conservare la quiete del paese e la sorte delle truppe e dei volontari che sono al di là del Po, i sottoscritti stimano dover loro palesare francamente a V. S. che nella opinione di loro questo mezzo sta: che la S. V. autorizzi i suoi ministri ad assecondare liberamente l'ardore dei suoi sudditi per la causa dell'indipendenza italiana con una nota diretta al Ministero d'Austria in proposito; e porre tutte le truppe sotto il comando del re Carlo Alberto; ad adoperare tutti i mezzi che al suddetto sire stimi essere opportuni”.

Credeva il Pontefice di poter far tornare la tranquillità negli animi spiegando ai sudditi la propria condotta con un Proclama del 1° maggio, il quale, purtroppo, fu pubblicato con molte “correzioni” dell'Antonelli :

“Quando Iddio con una disposizione mirabile. Ci chiamò a succedere immeritatamente a tanti Sommi Pontefici illustri per santità, per dottrina, per prudenza e per altre virtù, Noi conoscemmo all'istante l'importanza, il sommo peso e le difficoltà gravissime del grande incarico che Dio ci affidava; e alzati a Lui gli sguardi della nostra mente, si sentimmo francamente, scoraggiati ed oppressi, Lo pregammo di assisterci con abbondanza straordinaria di lumi e di grazie di ogni maniera. Non ignoravamo la posizione, sotto tutti i rapporti difficile nella quale Ci trovavamo, per questo fu vero prodigio del Signore se nei primi mesi del pontificato Noi non soccombemmo alla sola considerazione di tali mali, che ci pareva venisse logorandoci sensibilmente la vita. Non bastavano a calmare le nostre apprensioni le dimostrazioni d'affetto che Ci prodigava un popolo che avevamo tutta la ragione di credere affezionato al proprio padre e sovrano; perciò Ci volgemmo con maggiore efficacia ad implorare i soccorsi da Dio per l'intercessione della sua Madre Santissima, dei Santi Apostoli protettori di Roma e degli altri Beati abitatori del Cielo.

“Con queste premesse esaminammo la rettitudine delle nostre intenzioni, e quindi, dopo aver preso i consigli di alcuni e talvolta di tutti i Cardinali nostri fratelli, emanammo tutte quelle disposizioni relative all'ordinamento dello Stato, che a mano a mano sono comparse fin, qui. Furono queste accolte con quel consentimento e quel plauso, che tutti conoscono e che servivano di abbondante compenso al nostro cuore. Intanto sopravvenivano i grandi avvenimenti non solo d'Italia, ma in quasi tutta l'Europa, i quali, riscaldando gli animi, fecero concepire il disegno di formare dell'Italia una nazione più unita e compatta da potersi mettere al livello delle altre. Questo sentimento fece insorgere una parte d'Italia anelante di emanciparsi. Corsero i popoli alle armi e con le armi si stanno ancora misurando i contendenti. Non si resistette una parte dei nostri sudditi dall'accorrere spontaneamente a formare eserciti; ma, organizzati e provvisti di capi, ebbero istruzione di arrestarsi ai confini dello Stato.
“E a queste istruzioni concordavano le spiegazioni che noi demmo ai rappresentanti delle nazioni estere, e persino le più calde esortazioni a quei militi stessi, che a Noi vollero presentarsi prima della loro partenza. Nessuno ignora le parole da Noi pronunziate nell'ultima allocuzione, vale a dire che Noi siamo alieni dal dichiarare una guerra, ma nel tempo stesso Ci protestiamo incapaci di frenare l'ardore di quella parte di sudditi che sono animati dallo stesso spirito di nazionalità degli altri Italiani. E qui non vogliamo tacervi di non aver dimenticato anche in tal circostanza le cure di padre e sovrano, provvedendo nei modi che reputammo più efficaci alla maggiore incolumità possibile di quei figli e sudditi che già si trovano senza nostro volere esposti alle vicende della guerra. Le nostre parole di sopra accennate hanno destato una commozione che minaccia di irrompere ad atti violenti e non rispettando nemmeno le persone, calpestando ogni diritto, tenta di tingere le vie della capitale del mondo cattolico con il sangue di venerande persone, designate vittime innocenti per saziare le volontà sfrenate di chi non vuol ragionare.

“E sarà questo il compenso che si attende un Pontefice sovrano ai moltiplicati tratti dell'amor suo verso il popolo? "Popule, quid feci tibi?" Non si avvedono questi infelici che, oltre l'enorme eccesso del quale si macchierebbero e lo scandalo incalcolabile che darebbero a tutto il mondo, non farebbero che oltraggiare la causa che pretendono di trattare, riempiendo Roma, lo Stato e l'Italia tutta di una serie infinita di mali? E in questo o simili casi (che Dio tenga lontani) potrebbe mai rimanere ozioso nelle nostre mani il potere spirituale che Dio ci ha dato? Conoscano tutta una volta che Noi sentiamo la grandezza della nostra dignità e la forza del nostro potere. Salvate, o Signore, la vostra Roma da tanti mali, illuminate coloro che non vogliono ascoltare la voce del vostro vicario, riconducete tutti a più sani consigli, sicché, obbedienti a chi li governa, passino meno tristi i loro giorni nell'esercizio dei doveri di buoni cristiani, senza di che non si può essere né buoni sudditi né buoni cittadini".

Dopo questo proclama (che sostanzialmente confermava l’allocuzione del giorno 29 aprile) che terminava con una frase minacciosa, i ministri, che avevano ritirate le dimissioni, tornarono a presentarle. Il Papa questa volta le accettò e l'incarico di costituire il nuovo Ministero fu dato al Conte Terenzio Mamiani.