Figli d’Israele, figli d’Italia

Figli d’Israele, figli d’Italia

di Giuseppe Polito
Direttore Biblioteca Storica Regina Margherita
Pietramelara (CE)


Iniziamo subito da una data: il 1° settembre 1938 una serie di provvedimenti antisemiti viene varata dal Consiglio dei ministri: gli Ebrei stranieri sono espulsi, agli Ebrei viene tolta la cittadinanza se ottenuta dopo il 1918; sono inoltre esclusi dall’insegnamento nelle scuole statali di ogni ordine e grado; non possono frequentare scuole secondarie pubbliche e nelle elementari vengono raggruppati in sezioni speciali. Tutto questo ed altro che limitava lo studio, le professioni, la libertà dei cittadini italiani di religione ebraica si concretizzò con i Regi Decreti Legge del 5, 7 e 23 settembre e del 15 e 17 novembre 1938 nonché dal R.D.L. del 29 giugno 1939, sottoscritti dal Capo del Governo Benito Mussolini e da Vittorio Emanuele III di Savoia “Per grazia di Dio e volontà della Nazione” Re d’Italia ed Imperatore d’Etiopia.
Tra il 3 ed il 9 maggio 1938 Hitler aveva iniziato una visita ufficiale in Italia, in tutte le cerimonie pubbliche si tese ad esaltare la grande affinità esistente tra il regime nazista e quello fascista, così come fu palese ai più, imbarazzi protocollari e frizioni tra Hitler e Vittorio Emanuele III. Già il 30 aprile Papa Pio XI anticipando le vacanze estive, aveva lasciato Roma per la residenza di Castelgandolfo per rimarcare la sua disapprovazione per l’arrivo dell’ospite tedesco.


Tra il 14 ed il 25 luglio un “Manifesto degli scienziati razzisti” viene pubblicato senza firma sul “Giornale d’Italia”, l’elenco degli estensori del documento comprende illustri docenti universitari e sarà pubblicato il 25 luglio, dopo che questi furono ricevuti dal segretario del P.N.F. Achille Starace e dal ministro della cultura popolare Dino Alfieri che ne approvarono i contenuti.
Tra i firmatari ricordiamo: Luigi Barzini jr., Salvagore Di Giacomo, Giovanni Gentile, Curzio Malaparte, Ugo Ojetti, Luigi Pirandello, Margherita Sarfatti, Giuseppe Ungaretti, Nicola Pende, Agostino Gemelli, ecc.ecc., mentre negli anni seguenti sul periodico “La difesa della razza”, uscito nel 1938, collaborarono giornalisti, politici ed artisti: quali Giorgio Bocca, Eugenio Scalfari, Indro Montanelli, Amintore Fanfani e tanti altri futuri esponenti democristiani e comunisti dell’Italia antifascista e repubblicana. Fu questo per la Monarchia sabauda il periodo di maggior debolezza nei confronti del regime fascista, che aveva raggiunto il massimo consenso tra gli Italiani dopo la proclamazione dell’Impero “sui colli fatali di Roma”, con ben poche voci dissonanti in ambito politico ed intellettuale, i pochi oppositori o erano in prigione, esiliati o fatti assassinare all’estero (Gobetti, Gramsci, i fratelli Rosselli ecc.).
Pochi anni prima, il 6 settembre 1934 in un famoso discorso a Bari, Mussolini condannò “… con un sovrano disprezzo talune dottrine d’oltralpe, di gente che ignorava la scrittura …”, chiaro riferimento alla politica tedesca di Hitler, non dobbiamo dimenticare che i rapporti tra Italia e Germania erano entrati in una fase critica causa la questione austriaca, con il Duce che aveva ordinato ad alcune divisioni di schierarsi sulla frontiera del Brennero, all’indomani dell’assassinio del cancelliere Engelbert Dolfuss il 25 luglio 1934. Bisogna comunque tenere ben presente che Mussolini “non era un antisemita ma nemmeno amava gli Ebrei”,come afferma lo storico Carocci. A differenza delle deliranti teorie antisemite naziste, basate essenzialmente sul “razzismo”, quelle mussoliniane attingevano da problematiche storiche, religiose e nazionali, un variegato e tragico puzzle nel quale trovarono posto l’anti-cosmopolitismo presunto degli Ebrei, come l’ossessione di evitare nelle colonie, in principal modo nell’Africa Orientale Italiana, il “meticciato”.
A proposito della fondazione dell’impero, ben pochi sanno che nel gennaio 1937 il rabbino capo ed il presidente della Comunità israelita triestina, inviarono a Mussolini la cospicua somma di 20mila Lire per solennizzare la fondazione, appunto, dell’impero!
Durante la campagna in Etiopia, l’Italia tutelò la misteriosa comunità dimenticata dei “Falascià”, circa 30mila persone, etiopi che professavano la fede ebraica, ottenuto il giuramento di fedeltà, Mussolini favorì i contatti tra costoro ed i correligionari italiani, non solo, il Vicerè Amedeo di Savoia duca d’Aosta propose al Duce un suo progetto per favorire l’emigrazione degli ebrei europei proprio nell’Africa Orientale Italiana.
Quando l’Italia partecipò alla guerra civile in Spagna, appoggiando come Hitler i nazionalisti del “caudillo” Franco, molti furono gli Ebrei che vi parteciparono, tra questi la medaglia d’oro al V.M. Alberto Liuzzi (1898-1937), al quale in seguito il Fascismo dedicò una classe di sommergibili.
Nel 1934 Mussolini diede il suo consenso alla nascita della sezione Israelita della Scuola Marittima di Civitavecchia, anni dopo parecchi iscritti daranno vita alla Marina d’Israele. Tra il 1928 ed il 1934, quasi 5mila Ebrei si iscrissero al P.N.F., nel 1932 la Mondadori pubblicò i famosi “Colloqui con Mussolini” di Emil Ludwig, ove il Duce condannò il razzismo senza remore, definendolo una “stupidaggine”, favorendo protezione a molti intellettuali tedeschi che erano fuggiti dalla Germania alla prese del potere del nazismo.
Se nel 1929 Mussolini firmò i “Patti Lateranensi” con il Vaticano, nel 1930 fece approvare la “Legge Falco” sulle Comunità israelitiche italiane, ricevendone plausi e commenti positivi, in quanto volle tutelare le piccole comunità ed il loro patrimonio storico, anche se vi furono coloro che la criticarono in quanto accusarono il regime di voler “censire” tali ricchezze.
In tale ottica è bello anche ricordare figure come il siciliano Guido Jung (1876-1949), già “Cavaliere della Corona d’Italia”, di origine ebraica, imprenditore, volontario nel primo conflitto mondiale, nazionalista, deputato con il “Listone Mussolini”, divenne ministro delle Finanze nel 1932 e sostenitore della nascita dell’I.R.I.    , dimettendosi poi nel 1935 perché contrario alle politiche economiche del regime statalista. Come lo Jung ci furono tanti altri Ebrei che appoggiarono il fascismo, così come altri lo osteggiarono, in questo uniformandosi agli Italiani di religione cattolica.
Il 23 marzo 1919 tra i 119 fondatori a Milano dei “Fasci Italiani di combattimento”, cinque erano Ebrei, tra i quali, Cesare Goldmann, presidente degli industriali lombardi che procurò i locali di Piazza San Sepolcro, così come in questa fase “calda” post-bellica, tra il 1919 ed il 1922, moltissimi Ebrei militarono nelle file dello squadrismo.
Quando venne effettuata la famosa “marcia su Roma” nell’ottobre 1922, furono  230 gli Italiani di fede israelita a parteciparvi, gli storici hanno calcolato che tra partito fascista e quello nazionalista gli iscritti nel 1923 assommavano a 746 unità. Non bisogna dimenticare neppure il loro apporto durante l’impresa di Fiume nel 1921, ove cadde il ventenne Bruno Mondolfo.
Durante i sanguinosi scontri tra fascisti, socialisti e comunisti nella Pianura Padana, trovarono la morte pure Duilio Senigaglia,  Mario Ruini e Gino Bolaffi.
Nella Prima Guerra Mondiale (1915-18) moltissimi nostri soldati ebrei si coprirono di valore, ottenendo numerose medaglie, troppo lunga sarebbe la lista di questi eroi della Patria, la maggioranza dei quali si arruolò come volontario; per molti di costoro, “l’irredentismo” fu sinonimo di “sionismo”. Ed Ebrei furono, sempre nella Grande guerra, il decorato più anziano e il più giovane: la medaglia d’Oro Roberto Sarfatti, caduto in battaglia diciottenne il 28 gennaio 1918, figlio della ben più famosa Margherita, musa, consigliera, amante per oltre venti anni di Benito Mussolini.
Re Vittorio Emanuele III, confermando la politica di tolleranza e comunanza con gli Ebrei propria di Casa Savoia, il 2 luglio 1904 aveva effettuato una storica visita nella Sinagoga Maggiore di Lungotevere Cenci a Roma, unico luogo di culto inaugurato personalmente dal sovrano durante il suo lungo regno. Così come al termine del primo conflitto mondiale, il sovrano, accolto dal rabbino di Roma, Angelo Sacerdoti, presenziò allo scoprimento di una lapide marmorea ai caduti ebrei nella guerra da poco conclusa.
Il 30 novembre 1923, un anno dopo circa la “marcia su Roma”, avvenne un incontro ufficiale tra Mussolini e lo stesso Sacerdoti, al termine del quale venne diramato questo comunicato ufficiale: ”Avendo il dott. Sacerdoti nel colloquio seguito, fatto rilevare all'on. Mussolini che i partiti antisemiti dell'estero vogliono in qualche modo trovare maggior forza nella loro politica antisemita in un preteso atteggiamento antisemita del fascismo italiano sul quale vogliono modellarsi, S.E. ha dichiarato formalmente che il governo e il fascismo italiano non hanno mai inteso di fare e non fanno una politica antisemita, e che anzi deplora che si voglia sfruttare dai partiti antisemiti esteri ai loro fini il fascino che il fascismo esercita nel mondo”.
Ma fu durante l’epoca risorgimentale che gli Ebrei, i cui padri si erano stanziati nella Penisola fin dal II secolo a.C., chiamata “I-Tal-Ya’”, cioè “l’isola della rugiada divina”, dimostrarono tutto il loro patriottismo, in quanto il Risorgimento significò non solo la lotta per l’indipendenza nazionale, ma anche e soprattutto la loro emancipazione. Questo loro impegno ebbe inizio fin dagli albori, basta leggere le gesta dei fratelli Angelo ed Enrico Usiglio, modenesi, e massimi collaboratori del povero Ciro Menotti. Nel ducato di Modena l’antisemitismo del monarca, Francesco IV d’Austria-Este,  era talmente forte che le stesse autorità austriache consigliarono una politica moderata nei confronti dei sudditi ebraici, i quali quando venivano creati dei governi provvisori democratici, in questi anni di “rivoluzione”, vedevano abrogate le legislazioni punitive nei loro confronti, per poi essere nuovamente restaurate al ritorno delle vecchie autorità! Il “segno giudaico” che li contraddistingueva venne introdotto dallo stesso duca di Modena! La repressione in terra emiliana e romagnola andava di pari passo sia verso gli ambienti democratici che contro gli Ebrei, rei di aver finanziato e partecipato ai vari moti.
Anche alcuni “Padri della Patria” come Giuseppe Mazzini, dal suo esilio londinese non ebbe inizialmente una particolare simpatia verso gli Ebrei, per poi ricredersi e contando tra i suoi amici lo stesso Angelo Usiglio, stringendo rapporti amichevoli con la famiglia dei banchieri Nathan, alla cui progenie apparterrà il futuro sindaco di Roma, Ernesto Nathan, e di conseguenza la discendenza dei Rosselli e Pincherle-Moravia, non solo, alcuni studiosi sostengono che Mazzini ebbe una lunga relazione con la vedova Sara Nathan.
Tra i protagonisti politici ed intellettuali dell’Ottocento risorgimentale, si trovano i maggiori difensori dell’emancipazione ebraica: Gabriele Pepe, Carlo Cattaneo, Niccolò Tommaseo, Angelo Brofferio, Cesare Balbo, i fratelli Roberto e Massimo d’Azeglio, prima di loro anche Ugo Foscolo si rese protagonista in terra greca di episodi a difesa degli Ebrei.
 L’elezione di Pio IX nel 1846  galvanizzò la comunità romana, composta di 3.900 persone. Infatti tra i suoi primi provvedimenti, il nuovo Papa permise agli Ebrei le lapidi funerarie, dopo due secoli di divieto, abolendo la “predica coattiva”, in pratica l’obbligo di ascoltare una speciale omelia per convincerli alla conversione e durante il carnevale del 1847 la commissione ebraica che consegnava alla città il tradizionale dono, venne accolta dignitosamente in Campidoglio, senza subire l’umiliante pratica della genuflessione con relativo “calcione”, simbolo della loro condizione di servitù. Mesi dopo venne permesso agli Ebrei di abitare anche fuori dal ghetto.
Nel Regno di Sardegna con la promulgazione dello “Statuto Albertino” nel 1848, alla vigilia della Prima Guerra d’Indipendenza, gli Ebrei ottennero la loro completa emancipazione e, grazie a Carlo Alberto si aprirono per loro le Università e le accademie militari.
Quando nel 1860 Garibaldi s’imbarcò da Quarto con lui c’erano otto Ebrei, tra i quali ricordiamo il colonnello Enrico Guastalla. Il processo di unificazione nazionale proseguì rapido fino alla proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861 e se le condizioni degli Ebrei nel resto della Penisola, grazie all’estensione della carta costituzionale “albertina” trovarono pieno appagamento civile, non fu così  nello Stato Pontificio, ove,  dopo la caduta della Repubblica Romana, la restaurazione di Pio IX con la politica affidata al cardinal Antonelli, supportata da truppe francesi e mercenarie, inflisse dure condizioni di vita alla comunità israelita, descritte da vari viaggiatori del tempo.
Dopo il fallimento della spedizione garibaldina del 1867, si arrivò finalmente al 1870 quando le truppe italiane al comando del generale La Marmora entrarono a Roma, di queste fece parte Riccardo Mortara, fratello del famoso Edgardo, rapito da emissari pontifici all’età di 7 anni a Bologna, appartenente ad una famiglia ebraica e battezzato segretamente da una domestica, divenuto poi tra mille polemiche sacerdote e protagonista di un “affaire” famosissimo ed ancora oggi dibattuto tra gli storici.
Samuele Alatri, presidente della Comunità Ebraica romana fece parte della delegazione che comunicò a re Vittorio Emanuele II i risultati del plebiscito di annessione della “città eterna” al Regno d’Italia. Il 13 ottobre 1870 un Regio Decreto abolì tutte le differenze religiose.
Non posso terminare senza ricordare quello che un giornalista austriaco definì, “un ometto di Asti dall’intelletto fino e dal grande coraggio morale”: Isacco Artom (1829-1900), segretario particolare di Cavour prima,  poi, segretario generale del Ministero degli Esteri dopo l’Unità, nonché Senatore del Regno e primo ebreo italiano a sedere nel giovane Parlamento italiano.

Tratto da : www.monarchia.it/