Lo scandalo della Banca Romana - 1893
Quello della Banca Romana, è il primo vero scandalo italiano, e in fondo l’unico vero scandalo dell’Italia monarchica. Il vizio tutto italico di non giungere allora come oggi, ai veri responsabili già evidente, ma, a differenza dell’attuale Italia repubblicana, le istituzioni seppero prendere decisioni radicali, miranti ad eliminare il possibile ripetersi dell’accaduto, in modo drastico e risolutivo.
Verso la fine del 1892, erano in corso alla Camera, discussioni circa la proroga di 6 anni da concedere alle diverse banche sparse sul territorio nazionale aventi la concessione di stampare moneta per conto dello Stato. Erano i famosi Istituti di Emissione a cui il neonato Regno d’Italia aveva affidato questo compito non avendo ancora le strutture unitarie adatte, ne un ordinamento bancario. Durante i preparativi delle votazioni però, affiorano nei corridoi di Montecitorio, voci e illazioni circa presunte irregolarità nella gestione di questi Istituti di Emissione.
Sulla base di ciò, il Presidente del Consiglio Giolitti, agli esordi della sua carriera e dell’era che sarà poi detta “giolittiana”, chiese ed ottenne un’accurata ispezione di tutti gli Istituti di Emissione da parte della Commissione di vigilanza parlamentare. Era il 30 dicembre 1892.
Il 20 gennaio 1893, la commissione, terminati gli accertamenti, stabiliva che la Banca Romana (appunto) aveva abbondantemente abusato della concessione affidatale. Cosa era successo ? molto semplicemente, la Banca Romana era stata autorizzata a stampare 60 milioni di lire, ma al momento dell’ispezione risultò invece che ne aveva stampati e messi in circolazione 113, quasi il doppio !
È opportuno ricordare che, per ogni Istituto di Emissione, il Parlamento del Regno stabiliva delle quote di banconote da stampare e quindi far circolare, secondo trance precise di numeri di serie.
Chiaramente lo scandalo fu enorme ma il fatto in se era ben poca cosa rispetto al “calibro” di coloro che vi erano implicati. Inizialmente furono comunque immediatamente arrestati il Governatore della Banca, il Senatore Bernardo Tanlongo ed il Cassiere Barone Lazzaroni (quando si dice la combinazione – ndr).
La banca non solo era pessimamente amministrata, ma foraggiava oscure personalità, giornalisti, faccendieri e altre squallide comparse minori. Per compensare il vuoto di cassa il disinvolto governatore Bernardo Tanlongo non aveva trovato di meglio che stampare biglietti falsi.
Occorre precisare che sulle banconote, stampate regolarmente in Inghilterra, su indicazione della Banca Romana erano stati impressi i numeri di serie dei biglietti di vent'anni prima, quando l'Istituto faceva parte dello Stato Pontificio, con la scusa della loro sostituzione perché logori. Senza andare troppo per il sottile Tanlongo, il figlio avvocato e il cassiere capo si portavano a casa pacchi di banconote che "autenticavano", di notte in cantina, stampigliandovi sopra il timbro-firma del vecchio governatore pontificio ormai deceduto, che di solito firmava i biglietti a mano. Una truffa tanto macchinosa quanto grossolana e ingenua che un occhio attento avrebbe potuto scoprire ben prima.
Tanlongo comunque, si appellò subito alla sua immunità parlamentare. Di fatto però, Tanlongo non era Senatore del Regno, perché Giolitti aveva portato avanti la proposta di nomina, ma questa, non era ancora stata approvata. Visto il fattaccio poi, lo stesso Giolitti, si affrettò a ritirare la proposta prima che giungesse alla firma del Re, e Tanlongo così finì a Regina Coeli.
Nel frattempo, mano a mano che la commissione visitava gli Istituti di Emissione appariva chiaro, che la Banca Romana, non era il solo Istituto che aveva abusato della fiducia e della concessione parlamentare, ma tutti, chi più chi meno, serbavano delle sorprese.
Di fronte al dilagare dello scandalo, il Governo prese due decisioni risolutive come abbiamo detto in apertura, la liquidazione della Banca Romana e l’approvazione della Legge, che dal 1° gennaio ’94, istituiva la Banca d’Italia. L’anomalia, poteva dirsi tecnicamente chiusa e risolta, ma tutti si posero però “la domanda” : dov’erano finiti i soldi eccedenti il dovuto e chi ne aveva beneficiato ?
Era chiaro che Tanlongo e Lazzaroni, non erano e non potevano essere i soli responsabili del misfatto !
Gli imputati infatti, indicarono nel potere politico la causa scatenante dello scandalo !
Il primo nome che venne fuori fu quello dell’onorevole De Zerbi che, per il disonore, un mese dopo morì di crepacuore. Insieme a lui si parlò di ben altre 72 grosse personalità pubbliche fra deputati e senatori, alla quale si aggiunsero i più bei nomi del mondo dell’alta finanza romana.
Tanlongo, mano a mano che le accuse verso di lui si facevano più precise, rincarò la dose affermando che vi erano implicati anche tutti i Presidenti del Consiglio fin dal 1885.
Le somme eccedenti e versate, erano servite infatti per finanziare le campagne elettorali personali di decine di uomini politici influenti.
Lo stesso Giolitti, confermò di aver avuto 60mila lire !!!
Un pomeriggio d'inverno (1893) Napoleone Colajanni, deputato dell'Estrema Sinistra all'opposizione, riceve un biglietto da parte di un "amico" che chiede di incontrarlo per importanti rivelazioni. Dubbioso, il parlamentare si reca all'appuntamento e l'"amico", un noto giornalista economico, gli confida di essere in possesso di una relazione stilata dai deputati Alvise e Biagini a conclusione dell’inchiesta sulle banche italiane, tra cui la Banca Romana. L'inchiesta, che aveva accertato gravi irregolarità, stava per essere insabbiata, perché risultavano coinvolti importanti uomini politici. Colajanni decide di denunciare tutto in Parlamento. Il giorno prestabilito per la denuncia, qualche informazione era già trapelata e in aula c'era il pienone delle grandi occasioni, e nelle tribune del pubblico, accanto a signore eleganti, siedono l'ambasciatore e alcuni giornalisti francesi. L'anno precedente la stampa italiana si era occupata a lungo dello scandalo del canale di Suez in cui era era coivolto il governo d'oltralpe. Ora sono lì per prendersi la rivincita. Quando Colajanni si alza per parlare ben pochi sanno che solo da qualche giorno ha ricevuto il dossier promesso, ma che prudentemente, lo stesso dossier era già stato alleggerito dei nomi più eccellenti. Lo scandalo nello scandalo è comunque inevitabile
In Parlamento il Caos fu indescrivibile, e così la paura, con l’inevitabile moltiplicarsi dei tentativi di affossare l’inchiesta in tutti i modi. Viene anche nominato un Comitato di 7 persone con l’incarico di presentare al Parlamento un’indagine accurata su tutti gli Istituti di Emissione e sui personaggi implicati. Le relazioni saranno due, una tecnica sui fatti e l’altra, che proprio per la dichiarazione fatta dall’on. Colaianni sarà chiamato: plico delle sofferenze, l’elenco delle persone coinvolte.
Per avere un’idea dell’enormità dello scandalo basti sfogliare un qualunque giornale dell’epoca. Per l’intero anno non si parlerà d’altro ed anzi, alla fine dell’anno, proprio quando Giolitti sembra essersi rafforzato all’interno del partito, tanto da far intravedere al vecchio Crispi il viale del tramonto, la compagine giolittiana cade. A quell’epoca il Parlamento chiudeva verso la fine di agosto e riapriva a novembre. Il giorno di riapertura della Camera, il Comitato dei 7 presenta la sua relazione. Sono appunto due incartamenti, un plico esplicita i fatti tecnici, l’altro contiene i nomi dei sofferenti. Giolitti propone di leggerli e darli entrambi alle stampe, altri due deputati propongono di leggere e stampare la prima parte mentre il plico delle sofferenze deve essere depositato presso l’archivio segreto di Stato. Si vota per la proposta Giolitti ed il Parlamento la boccia. Giolitti è troppo orgoglioso per ingoiare il rospo ed il giorno dopo rassegna le dimissioni del suo gabinetto al Re.
E’ giovane, diranno in molti, non ha l’esperienza di Crispi, è al suo primo incarico. Il Re dapprima chiede all’onesto Zanardelli di formare la nuova compagine ministeriale, sicuro anche lui che il paese vuole tutta la verità e, quando anche Zanardelli fallisce, non gli resta che affidarsi a Crispi nonostante sia noto che tra i due grandi non corra buon sangue. Crispi rifarà il Governo e la prima proposta approvata è quella di conservare nell’archivio segreto dello Stato il plico delle sofferenze. Il paese non deve sapere e non saprà mai chi e quanti furono implicati nello scandalo.
A questo danno poi, si aggiunse la beffa : Bernardo Tanlongo e compagni risultarono innocenti di truffa ai danni dello Stato e quindi assolti.
Durante il processo si parlò di un gran numero di documenti sottratti da Giolitti e pare che anche Crispi ne fosse a conoscenza perché riguardavano proprio lui. Essendo entrambi coinvolti,
Crispi però, non immaginava certo che Giolitti li avrebbe resi pubblici. S’ingannava : fu un capolavoro di arguzia politica infatti. Giolitti era caduto il primo giorno della riapertura della Camera nel novembre dell’anno precedente e voleva riservare a Crispi la stessa sorte.
Lasciò che i giornali parlassero dei famosi documenti sottratti per tutta l’estate e, alla riapertura della Camera, presentò il plico con i famosi documenti sottratti. Ancora una volta, venne fuori un caos mortale, e per evitare un voto di sfiducia sulla legge finanziaria in discussione, Crispi chiese al Re una sospensiva parlamentare in attesa che si calmassero le acque. Il Re, inizialmente portato ad assecondare la richiesta del Presidente del Consiglio, ben presto opto disgustato, per decretare lo scioglimento dell’assemblea ed indire nuove elezioni generali.
Lo scandalo aveva fatto la sua ultima vittima.
Alberto Conterio