Emanuele Filiberto detto il “Muto”
Un Savoia che sfidò l’ira del Re Sole
Maurizio Lupo
21 settembre 2011
Emanuele Filiberto, detto il “Muto”, (da non confondere con Emanuele Filiberto “Testa di Ferro” suo avo di un secolo prima – ndr) era uomo d'armi e di lettere
Palazzo Carignano, dismessa la grande mostra sul pittore Legnanino che lo affrescò, dedicherà il suo percorso di visita permanente al proprio fondatore: Emanuele Filiberto di Savoia Carignano, detto il «Muto», un personaggio misterioso, quanto affascinante.
Sua madre, la contessa Maria di Borbone Soissons, che diverrà invidiosa nonna del grande Principe Eugenio, lo disprezzava. Per lei quel figlio, anche se lo aveva chiamato come il grande condottiero sabaudo, era solo «un poveretto». Perché fin dalla nascita, avvenuta a Torino il 20 agosto 1628, non parlava e non sentiva. Suo padre, il Principe Tommaso di Savoia, battagliero capostipite del ramo Carignano, non avrebbe mai pensato di farne un guerriero o un intellettuale. Per quanto fosse anche un bel ragazzo, era per tutti solo «il Muto», una «disgrazia» da sopportare. Ma che saprà forgiare dal suo disagio una tempra tenace e colta. Imparò a Madrid a farsi capire e ad articolare frasi, sferzato da un logopedista severissimo: Miguel Ramirez de Carrion. Lo sottoponeva a un addestramento duro, basato su premi e più frequenti castighi, come si faceva allora con gli animali. Emanuele tenne duro e dimostrò al mondo chi era. Imparò a leggere sulle labbra altrui le parole che non udiva, ma che riuscì ad esprimere. Ghiotto di libri e di sapere, ebbe come precettore Emanuele Thesauro, di cui erediterà la biblioteca. Sviluppò un talento per l'architettura, tanto da suscitare l’ammirazione di Guarino Guarini e di Antonio Bertola. A trent'anni imbracciò anche le armi, come colonnello al servizio del Re di Francia Luigi XIV, che tuttavia osò sfidare.
Il sovrano pensava di manovrarlo come un burattino. Voleva imporgli una moglie francese, per farne un suo vassallo, qualora fosse diventato un improbabile erede al trono sabaudo.
Lui scelse invece la donna che amava: Maria Caterina d'Este, bella e colta, del ramo cadetto dei Duchi di Modena. Osò sposarla il 7 novembre 1684, nel Castello di Racconigi, che l'architetto Guarini, su suo incarico, aveva trasformato in villa di delizie.
Re Luigi s'infuriò e chiese che gli sposi ribelli fossero esiliati dal Piemonte.
Emanuele non batté ciglio. Con la sua Maria Caterina andò a vivere a Bologna. Qui conobbe l'ambiente artistico frequentato da Legnanino. E lo chiamò a Torino, per affrescare il Palazzo che aveva commissionato nel frattempo a Guarini. Non fu però lui il primo ad abitarlo. Lo anticipò nel 1684 il giovane principe Eugenio, il suo valoroso nipote. Emanuele Filiberto, vi giunse nel 1685 e vi morì il 23 aprile 1709, stimato e onorato.
Tanto è quasi tutto quanto si sa di lui. Ma molto altro si sta per scoprire. La Soprintendente Edith Gabrielli, titolare della dimora, che ha saputo riaprire al pubblico, ha incaricato il professor Claudio Rosso di indagare sulla vita di Emanuele. Le ricerche e i documenti rinvenuti diverranno il filo conduttore del nuovo percorso di visita della residenza, che si affiancherà a una nuova stagione di mostre temporanee, sotto egida del direttore regionale ai Beni culturali Mario Turetta.
«L’allestimento che avviamo - spiega Gabrielli - sarà un incentivo ad ulteriori ricerche. Diverrà un cantiere in evoluzione, che verrà ampliato dai risultati dell’indagine. Un simile approccio permetterà di raccontare la vita di questo personaggio affascinante e di indagare sulla dispersione del suo patrimonio, per rintracciare quanto ancora rimane. Si ripercorrerà la vita del Muto, per riscoprire le sue relazioni con Legnanino e la storia del Palazzo, intrecciata alla vita del suo grande architetto, Guarino Guarini».