L’epilogo del Fascismo
La seduta del Gran Consiglio del 24 luglio 1943
La seduta del Gran Consiglio del 24 luglio 1943
Nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo convocata per il 24 luglio 1943, furono presentati diversi Ordini del Giorno, tra cui anche quello “famoso” di Dino Grandi, detto appunto Ordine del Giorno Dino Grandi
In questa seduta, che sarebbe stata anche l'ultima, l’approvazione a maggioranza del documento di Dino Grandi provocò di fatto la caduta di Benito Mussolini aprendo l'ultima fase del regime fascista, e caratterizzata poi dalla Repubblica Sociale Italiana.
Le premesse
L'operazione era stata elaborata in segreto da alcuni mesi da Dino Grandi d'intesa con altri gerarchi fascisti e personalità civili e militari d’Italia.
Come si poteva deporre legalmente il Duce ?
Il Duce poteva essere esautorato solo dal Re. Ma il Sovrano, non ne aveva più il potere, avendo il Parlamento, in tutta fiducia, consegnato al Duce ogni potere, sia quello di governo sia quello delle Forze armate. Quindi occorreva come prima cosa che fossero ripristinati i poteri costituzionali del Re; il quale poi avrebbe tolto le deleghe del comando militare a Mussolini e le avrebbe assegnate ad altri.
Come fare per "restituire" i poteri costituzionali al Re ? I gerarchi si sarebbero rivolti formalmente al Sovrano, chiedendogli di applicare l'articolo 5 dello Statuto Fondamentale del Regno (meglio noto come Statuto Albertino). Era questo l'articolo che attribuiva al Re il Comando Supremo delle Forze Armate, che era stato delegato a Mussolini, e attribuiva al Capo dello Stato ogni decisione di vertice. Lo strumento del Gran Consiglio serviva quindi allo scopo.
Il compito di parlare a nome dei gerarchi davanti a Mussolini fu assolto da Dino Grandi, sia perché era presidente della Camera, ma anche perché godeva di un grandissimo prestigio. Il piano rappresentava peraltro una mano tesa a Mussolini, cui si forniva una via di uscita onorevole che lo sollevava dal pagare per la responsabilità di aver condotto il Paese vicino alla rovina.
La riunione del Gran Consiglio, che non si teneva dal 1939, non fu ovviamente chiesta esplicitamente per deporre il Duce, bensì per esaminare la conduzione militare del conflitto.
E assai inverosimile che il Duce, accorto conoscitore e della politica e dei suoi gerarchi, non sospettasse subito l'argomento e non si rendesse conto che il Gran Consiglio aveva in mente di destituirlo, perciò è da credere che Mussolini pur essendo a priori a conoscenza dei motivi per il quale il Gran Consiglio era richiesto, intendesse effettivamente rimettersi alle loro decisioni.
La conferma che questa ipotesi non è una supposizione ma realtà, e ci viene confermata dal fatto, che l’Ordine del Giorno venne ampiamente discusso in consiglio prima di essere messo ai voti in primo luogo, ma anche dalle successive missive di Badoglio a Mussolini e Mussolini a Badoglio, come dell’atteggiamento generale che tutto l’apparato Fascista ebbenei giorni immediatamente successivi al consiglio stesso.
Chiesto una prima volta il 13 luglio, Mussolini lo respinse. Una nuova richiesta venne fatta il 16. Tre giorni dopo, Mussolini, di ritorno dall'incontro con Hitler presso Feltre (BL). Questa volta lo concesse, appunto per la sera del 24.
La seduta
I lavori ebbero inizio poco dopo le 17. I consiglieri erano tutti in uniforme fascista con sahariana nera. Il segretario del partito fascista, Carlo Scorza chiamò l'appello, ma per il resto della seduta l'attività di segreteria fu svolta dallo staff della Camera dei fasci e delle corporazioni al seguito di Dino Grandi, presidente di quel ramo del Parlamento.
Dopo che Mussolini ebbe riassunta la situazione bellica, Grandi e Farinacci illustrarono i loro O.d.G. In sostanza entrambi chiedevano il ripristino "di tutte le funzioni statali" e invitavano il Duce a restituire il Comando delle Forze armate al Re.
Presero la parola alcuni gerarchi, ma non per affrontare gli argomenti degli O.d.G., bensì per fare chiarimenti o precisazioni. Si attendeva un intervento incisivo del Capo del governo. Mussolini, invece, affermò impassibile di non avere nessuna intenzione di rinunciare al Comando militare. Si avviò il dibattito che si protrasse fin oltre le undici di sera. Grandi diede un saggio delle sue grandi capacità oratorie: dissimulando abilmente lo scopo reale del suo O.d.G., si produsse in un elogio sia di Mussolini che del Re.
Successivamente Carlo Scorza diede lettura di due missive indirizzate a Mussolini in cui il segretario del partito chiedeva al Duce di lasciare la direzione dei ministeri militari. I presenti rimasero molto colpiti, sia dal contenuto, sia dal fatto stesso che Mussolini avesse autorizzato Scorza a leggerle in quella sede. Quando si era arrivati ben oltre le undici di sera, la seduta venne sospesa. Alla ripresa, Bottai si espresse a favore dell'O.d.G. Dino Grandi. Poi prese la parola Carlo Scorza, che invece invitò i consiglieri a non votarlo e presentò un proprio O.d.G. a favore di Mussolini.
Alcuni presenti valutarono nell'O.d.G. Grandi solamente il fatto che Mussolini veniva "sgravato dalle responsabilità militari" e, al contempo, la Monarchia veniva chiamata all'azione, traendola dall’ombra o “'imboscamento” come dirà a posteriori Tullio Cianetti.
Costoro, non si rendevano conto di quali enormi conseguenze avrebbe avuto un loro eventuale voto favorevole sull'assetto del regime. Alla fine del dibattito, i consiglieri si aspettavano un cenno di Mussolini.
Di solito egli riassumeva la discussione e i presenti si limitavano a prendere atto di quello che aveva detto. In quest'occasione, invece il Capo del governo non espresse alcun parere e, adottando un atteggiamento passivo, decise di passare subito alla votazione degli O.d.G.
Inoltre, e questo è importantissimo… anziché cominciare da quello di Scorza - che sarebbe stato contrario - fece iniziare da quello di Grandi, che era chiaramente a favore. Questa decisione di "disimpegno" fu fondamentale ed impresse una svolta decisiva all'esito della riunione, dando coraggio a quanti erano indecisi o impauriti dalle possibili reazioni del Duce.
La votazione
I 28 componenti del Gran Consiglio furono chiamati a votare per appello nominale. La votazione sull'ordine del giorno Grandi si concluse con:
19 voti a favore (Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Luigi Federzoni, Galeazzo Ciano, Cesare Maria De Vecchi, Alfredo De Marsico, Umberto Albini, Giacomo Acerbo, Dino Alfieri, Giovanni Marinelli, Carluccio Pareschi, Emilio De Bono, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bastianini, Annio Bignardi, Alberto De Stefani, Luciano Gottardi, Giovanni Balella e Tullio Cianetti che il giorno dopo scrisse a Mussolini ritrattando il suo voto);
8 voti contrari (Carlo Scorza, Roberto Farinacci, Guido Buffarini-Guidi, Enzo Galbiati, Carlo Alberto Biggini, Gaetano Polverelli, Antonino Tringali Casanova, Ettore Frattari);
un astenuto (Giacomo Suardo).
Dopo l'approvazione dell'O.d.G. di Dino Grandi, Mussolini ritenne inutile porre in votazione le altre mozioni e tolse la seduta. Erano le 2,40 del 25 luglio 1943, ed i presenti lasciarono la sala.
Il fascismo, con voto democratico era andato al potere nell’aprile del 1924, e con voto democratico del suo maggior organo, nel luglio del 1943 si faceva da parte per il bene supremo della Patria.