La Regina Margherita e l'Unità d'Italia

L’Italia unita?
Era nel salotto di Margherita

di Francesco Perfetti
29 luglio 2011

Il primo successo di Margherita di Savoia, come Regina, fu la conquista del cuore di Giosué Carducci. Era salita al trono il 9 gennaio 1878 quando il marito (e cugino) aveva assunto, con il nome di Umberto I, la successione del padre, Vittorio Emanuele II, il «Re galantuomo». I sovrani, qualche mese dopo, avevano iniziato un lungo viaggio in Italia e ovunque avevano riscosso manifestazioni di simpatia ed entusiasmo a riprova dell’avvenuta «nazionalizzazione» della dinastia a pochi anni dalla compiuta unità nazionale. A Bologna il poeta anticlericale e repubblicano rimase colpito dalla regina: la vide una prima volta, nel pomeriggio, mischiato tra la folla. La rivide la sera, affacciata a una finestra. La incontrò, infine, a un ricevimento dov’ella gli apparve «con una rara purezza di linee e di pose nell’atteggiamento e con una eleganza semplice e veramente superiore sì nell’adornamento gemmato sì del vestito largamente cadente».


La «conquista» del cuore del poeta ribelle - presto sancita dai versi dell’ode carducciana Alla Regina d’Italia - fu anche, e prima di tutto, un successo politico per una sovrana che in poco tempo avrebbe rinnovato la vita della corte sabauda aprendola alla mondanità e alla cultura e contribuendo al radicamento della dinastia nel Paese. Accanto a una sua corte - che, per la prima volta nella storia millenaria dei Savoia, raccoglieva dame avvenenti e colte provenienti da tutto il regno - ella costituì un più ristretto salotto intellettuale, quasi un «circolo della regina», frequentato assiduamente da uomini di cultura con i quali poter discutere liberamente di arte, letteratura, filosofia.
Alla corte di Margherita si ritrovarono le celebrità del tempo, prevalentemente aristocratici ed esponenti dell’alta borghesia, ma anche uomini divenuti famosi per il loro contributo alle arti e, in qualche caso, per la carriera politica. Tra gli habitués, tutti o quasi di orientamento conservatore, vi erano filosofi e uomini pubblici come Terenzio Mamiani e Ruggero Bonghi, scrittori di cose storiche come il marchese Francesco Nobili Vitelleschi, collezionisti come Marco Baracco e, primo fra tutti, animatore e stella del salotto, Marco Minghetti. Proprio quest’ultimo, lo statista bolognese allievo di Carducci, divenne il confidente della regina, l’uomo che la consigliava e indirizzava nella scelta delle letture e, infine, il privato insegnante di latino. Il carteggio tra la sovrana e il suo mentore - ora pubblicato in una bella edizione critica a cura di Carlo Maria Fiorentino con il titolo Alla corte della Regina. Carteggio fra Margherita di Savoia e Marco Minghetti (Le Lettere, pagg. 222, euro 22) - documenta questo intenso rapporto intellettuale, durato dal 1882 al 1886, fra due anime che s’intendevano appieno. E ciò malgrado la differenza d’età, di preparazione culturale e, in certo senso, di estrazione sociale, perché Minghetti che, pure, era diventato un professore illustre e uno statista di primo piano, proveniva da una famiglia di origine popolana arricchitasi ai tempi di Napoleone.
Minghetti fu tra i primi frequentatori, al Quirinale, del salotto pomeridiano e serale della regina, ma, quando questa decise di imparare il latino, a quelle visite si aggiunsero le quasi quotidiane lezioni mattutine che dovettero contribuire a far sorgere, tra i due, quel grado di confidenza e di intimità intellettuali delle quali è traccia nel carteggio. E delle quali una ulteriore conferma si trova nelle parole commosse cui Margherita - nota per la riservatezza e la prudenza - si lasciò andare comunicando a un’amica carissima il suo dolore per la scomparsa di Minghetti: «mi pare ancora impossibile che non debba più vederlo la mattina, come da vari anni ero abituata, ed era un’abitudine dolcissima, perché è difficile sentire parlare in modo più elevato senza nessuna pedanteria ed in una maniera che ogni parola era una luce del cuore e della mente».
Il carteggio fra i due rivela come l’anziano statista non si preoccupasse solo, e con grande scrupolo, di guidare la sovrana nell’apprendimento della lingua e della letteratura latina, ma anche, come ha ben osservato Fiorentino, «di orientarla in maniera più ampia culturalmente e politicamente in una direzione che avrebbe dovuto coincidere con i valori della civiltà liberale moderata non soltanto italiana».
Non solo. Minghetti cercò anche di stemperare l’entusiasmo che la regina manifestava nei confronti di quel Carducci, già ferocemente repubblicano e ora filocrispino, che era stato conquistato dal suo fascino, dall’«eterno femminino regale».
Un’amicizia profonda, dunque, tra Minghetti e Margherita. Un’amicizia che fu tutta e solo intellettuale, ma che, man mano che si rafforzava, finì probabilmente per muoversi lungo il crinale di un sentimento che avrebbe potuto avere altri esiti. E certe allusioni di Margherita, contenute nelle sue lettere, lo lascerebbero pensare: la notazione, per esempio, sulla differenza di età di una coppia di diplomatici (37 anni, superiore a quella esistente tra lo statista e la regina) o, ancora, il riferimento al Quirinale come a una «gabbia dorata» nella quale ella faceva «la parte dell’uccello che canta e fa vedere le sue penne colorate». Se esiti diversi da una amicizia solo intellettuale non si ebbero ciò fu dovuto, probabilmente, al fatto che Minghetti era troppo fedele servitore del re per fargli un torto, mentre, dal canto suo, Margherita, pure affettivamente allontanatasi dal marito, si sentiva troppo investita dei doveri, anche di rispettabilità, connessi al suo ruolo di sovrana.
Il carteggio fra Minghetti e Margherita offre un ritratto psicologico, oltre che intellettuale, della regina, mettendone in luce gusti, preferenze culturali, intelligenza, interesse per le cose politiche. Ma anche, soprattutto per quel che riguarda proprio la politica, un riserbo dovuto al fatto che ella riteneva che in scelte e decisioni di tal natura contava solo la parola del re. Il «circolo» di Margherita, del quale Minghetti era frequentatore e protagonista, non assunse mai una valenza superiore a quella di un circolo puramente intellettuale. A differenza di quanto avrebbe fatto, in seguito, Maria José, la quale pure raccolse attorno a sé una corte di intellettuali illustri - da Indro Montanelli a Carlo Antoni, da Manlio Lupinacci a Umberto Zanotti Bianco - con i quali ebbe modo di intessere un discorso culturale, sì, ma anche e, forse, soprattutto politico. Ma i tempi, in fondo, erano cambiati. E l’età umbertina era ormai un ricordo lontano.