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Il 18 febbraio 1861 Re Vittorio Emanuele II inaugurava il
Parlamento Italiano
di Maurizio Lupo
11 febbraio 2011
Un secolo e mezzo fa, lunedì 18 febbraio 1861, alle ore 11,
Torino riuniva a Palazzo Carignano il primo Parlamento italiano: 221 senatori
di nomina regia e 443 deputati, eletti da soli 240 mila cittadini maschi, su 22
milioni di sudditi del nascente Regno d’Italia.
Il 13 febbraio Francesco II di Borbone, Re delle Due
Sicilie, si era arreso ai piemontesi.
Cinque giorni dopo, Vittorio Emanuele II, ultimo Re di
Sardegna, primo dell’appena unificata penisola italiana, si accinge a
inaugurare l’ottava legislatura della democrazia sabauda.
Si è deciso che non sia la prima nel nuovo assetto politico,
perché il Paese abbia ben chiaro che nasce come ampliamento dello Stato
sabaudo, quale frutto dell’azione politica avviata dall’8 maggio 1848 nel
Parlamento Subalpino.
La città illuminata Le cronache di quel giorno ricordano una
giornata fremente di attese entusiaste, ma sotto un cielo molto nuvoloso,
grigio piombo. La notte precedente il termometro era sceso a zero gradi. Si
teme che la pioggia guasti l’evento. Non pioverà. Alle 11 la temperatura
segnerà 10 gradi. Torino è pronta.
In 113 giorni l’architetto Amedeo Peyron ha realizzato nel
cortile del Palazzo Carignano, dimora natale di Vittorio Emanuele II, la nuova
aula che accoglierà i parlamentari.
Con legno e tele scenografiche è stato allestito un
emiciclo, con doppio colonnato di tribune. Al centro della cavea, su sette
scalini, spicca il trono reale. Provvisoria è anche la nuova facciata del
palazzo che guarda sulla piazza intitolata nel 1859 a Re Carlo Alberto. Anche
il Comune fa la sua parte. Ha disposto che piazza Castello, via Accademia delle
Scienze e piazza Carignano, che il Re percorrerà in carrozza, siano
«splendidamente addobbate, ornate di 48 getti d’acqua, ed alla sera illuminate
con speciali apparecchi, come pure la via di Po e la chiesa della Gran Madre di
Dio».
Piazza Castello viene arricchita da grandi fioriere,
sovrastate da mazzi di bandiere.
Gonfaloni sventolano su Palazzo Madama, sede del Senato.
I torinesi sono invitati a illuminare le abitazioni e ad
esprimere entusiasmo. Per coinvolgere anche i poveri, il Municipio dona loro
«razioni di pane del valore di lire 5 mila», pari a 22 mila euro odierni.
In città tutti gli alberghi sono stracolmi «di italiani
forestieri e di stranieri». La sicurezza è affidata alla Guardia Nazionale, che
mobilita quattro legioni. Si schiererà «in divisa da parata» ai posti previsti,
dalle otto del mattino.
Ma già alle quattro erano giunti da Napoli altri reparti. Il
governo vuole che si notino in divisa sabauda anche gli ex sudditi borbonici.
All’alba le trombe della città militare danno la sveglia. Le
Guardie del Corpo del Re da piazza Vittorio sfilano per via di Po e raggiungono
Palazzo Reale. I parlamentari avranno accesso a Palazzo Carignano dalle ore 9.
Nonostante lo spiegamento di forze, riesce a sedere fra i
deputati anche «uno scervellato». Si chiama Antonio Catalano. E’ napoletano. Si
definisce pittore. Dice che toccherà a lui rispondere a Vittorio Emanuele II.
La Guardia Nazionale lo fa uscire a forza.
A metà mattina le strade che saranno percorse dal corteo
reale sono affollate e festanti. Marsine e divise s’affrettano ad entrare a
Palazzo Carignano.
Poco prima delle 11 la banda della Guardia Nazionale intona
l’inno di Mameli in piazza Castello. Si apre la porta della Reggia. Annunciato
da salve di cannone, compare Re Vittorio Emanuele II. Preceduto dai famigliari
e seguito dai suoi generali, «muove dalla reggia in carrozze di gala». Sfila
fra una folla osannante, appena trattenuta dai cordoni della Guardia Nazionale.
A Palazzo Carignano lo ricevono le deputazioni del Senato e
della Camera. I figli Umberto e Amedeo lo precedono nel Parlamento, accolti da
applausi. Quando arriva il sovrano, i parlamentari si levano in piedi e
gridano: «Viva il Re d’Italia!».
Vittorio Emanuele sale al trono con passo solenne. Alla sua
destra s’accomodano i
principi. A sinistra siedono i diplomatici di Prussia, Gran
Bretagna, Francia, Turchia, Svezia e Belgio. Intorno si schierano i ministri e
Camillo Cavour.
Il Parlamento continua ad esultare. Il clamore è tale che
Vittorio Emanuele invita il ministro degli Interni Marco Minghetti a chiedere
silenzio. Quindi il ministro Giovanni Battista Cassinis invita i parlamentari a
giurare fedeltà.
Infine, in un teso silenzio, il Re prende parola. Legge un
discorso che Cavour e Bettino Ricasoli hanno esaminato il giorno prima:
«Signori Senatori, Signori Deputati, libera ed unita quasi tutta, per mirabile
aiuto della Divina Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli, e per lo
splendido valore degli eserciti, l’Italia confida nella virtù e nella sapienza
vostra. A voi si appartiene di darle istituti comuni e stabile assetto».
A ogni passaggio il discorso è salutato da grida di
«Bravo!». Finché Vittorio Emanuele conclude: «Mi compiaccio di manifestare al
primo Parlamento d’Italia la gioia che sente il mio animo di Re e di Soldato».
Pronunciata l’ultima parola, «Parlamento e popolo giubilanti
- scrive la cronaca - prorompono unanimi in sì schietti applausi che il Re,
commosso, contraccambia col nobile gesto e col chinare della marziale sua
testa».
Minghetti chiede allora nuovo silenzio e dichiara aperta la
sessione legislativa.
Il sovrano lascia l’aula alle 11,30. Fuori il cielo è ancora
grigio piombo, ma in serata giungeranno schiarite.
Tratto da : www.lastampa.it/